Fusaro: “Almirante esempio insuperabile di atlantismo neoservile”. De Luca: Capita anche ai migliori come Fusaro di sbagliare.

 

di Giovanni De Luca

Ho letto con non molto stupore il post di Diego Fusaro secondo il quale “le strade andrebbero dedicate al grande Giovanni Gentile, non ad Almirante, esempio insuperabile, alla stregua di Berlinguer, di atlantismo neoservile”.

Sgombriamo il campo dalla ferma convinzione che il filosofo italiano Giovanni Gentile meriterebbe un più ampio e incondizionato riconoscimento con la toponomastica – già avviene – insufficiente senza una degna riabilitazione nelle accademie e nelle più alte sfere della cultura ufficiale e ben al di là dei confini nazionali.

Quello di Diego Fusaro nel complesso e’ un giudizio ingiusto nei confronti di Almirante che fu politico intellettualmente fine,  persona integralmente onesta in tutte le sue scelte. Citerò Pino Rauti per non essere tacciato di eccessiva faziosità essendo un fervido sostenitore del “rautianesimo”. Lo citerò non potendone assumere per manifesta inferiorità la difesa. Rauti al congresso di Fiuggi del 1995 ebbe ad affermare rivolgendosi a Pinuccio Tatarella: “Caro Tatarella, ma valeva la pena aver fatto la marcia su Roma, il corporativismo, la socializzazione e la Repubblica Sociale Italiana per poi andare a completare il regime di destra sul versante di destra e fare la destra conservatrice? Potevamo farlo prima! E se noi quello che oggi si vuole fare (l’abiura e la svolta antifascista n.d.s.) lo avessimo fatto nel ’48, 49 nel ’50 saremmo stati ministri sin da allora senza esporci su tante trincee come abbiamo fatto noi e i nostri giovani in tutti questi anni. Ma pensate se Almirante avesse fatto questa operazione: sarebbe diventato Presidente delle Repubblica ma lui ci diceva – a me disse, a noi disse, perché io sono stato avversario, leale, di Almirante in tante polemiche ma anche suo vice segretario per un lungo periodo e lo considero il più fervido e il più bello della mia vita – ci diceva sempre: “Ci sono le colonne d’Ercole che noi non possiamo superare”. Perché anche allora c’era la tentazione dell’andare a fare la stampella del regime mentre Almirante ci parlava di corporativismo, di alternativa corporativa, di alternativa al sistema per spronarci, per mandarci avanti, per tenerci in piedi”.

“Caro Fusaro – chiedo – ma valeva la pena per quegli uomini rischiare la propria vita con la clandestinità, l’ergastolo o la fucilazione, passare attraverso la guerra civile prima e gli anni di piombo poi, per andare a finire nei libri di storia come “guardia bianca del sistema” inopportunamente bollati come fulgido esempio di neoimperialismo americano?

Avrebbero potuto concordare un passaggio fra le fila del nemico come altri fecero, diventando anche autorevoli esponenti delle più alte cariche dell’Italia repubblicana. I casi sono tanti, non ne citerò alcuno per evitare fronti di ulteriori polemiche. Diego Fusaro è saggista, studioso di alto profilo di filosofia e di storia, ricercatore attento. Converrà ricordare a me stesso che l’analisi di un periodo storico và fatta calandosi nel contesto.

Non poteva sussistere nessun “servilismo”, nel momento in cui i fondatori del Msi  -tra i quali anche Almirante – chiarivano sin da subito gli scopi del rischioso sodalizio.

“Scelte compiute nel nome della comunità nazionale e della Patria in alternativa alle matrici dell’ancora attuale articolo 16 del trattato di pace e cioè al marchio di tradimento”.

L’Europa era un cumulo di macerie fumanti quando i vincitori (sul piano militare) USA e URSS si incontrano a Yalta per spartirsi il mondo.

Quale poteva essere  in quel contesto il ruolo dei reduci della Repubblica Sociale Italiana se non quello dell’accettazione della resa – non della sconfitta – con l’onore delle armi ed il consequenziale disarmo a fronte di un’amnistia?

Quello degli irriducibili ormai sconfitti che non si arrendono, che combattono sino alla stremo calando a picco nel mare della più romantica battaglia madre di tutte le battaglie, affogando con al propria bandiera  pur di non darla vinta al nemico.

Scriviamo nella più totale tranquillità di fatti drammatici, inimmaginabili per noi quarantenni. Lo facciamo con la possibilità di rileggere e cancellare un concetto, riscriverlo o modificarlo totalmente. Allora si scriveva la storia con il sangue su fortuiti pezzi di carta o sui muri di una cella.  Spesso prima della fucilazione.

Basterebbe questo, ma voglio spingermi oltre.

Le scelte del leader missino dal 15 giugno del 1947 al 15 gennaio del 1950 succeduto alla segreteria Trevisonno (46-47) e avvicendato dalle segreterie De Marsanich e Michelini dal 15 gennaio 1950 al 15 giugno 1969, sono scelte compiute in un lasso temporale insufficiente per inquadrare Almirante come “esempio insuperabile, di atlantismo neoservile”. Ci converrà analizzare il più longevo periodo politico alla segreteria del Msi che intercorre fra il 29 giugno 1969 ed il 14 dicembre 1987.

Scriveva Augusto Michelini consegnando il partito ad Almirante nel 1969: “in un mondo proiettato verso sempre più alte conquiste civili, in un epoca che certamente accorcia le distanze fra i popoli, il mantenimento della pace resta affidato all’equilibrio politico e strategico fra le forze schierate sugli opposti schieramenti internazionali. Non si tratta soltanto di un problema di fedeltà alle alleanze, ma di un più profondo e complesso problema di scelta a livello di opposte concezioni della vita umana e di inconciliabili visioni della società e dello stato: l’alternativa per l’Italia resta dunque fra consolidare i suoi vincoli di solidarietà con la civiltà occidentale e l’accettare, o servire addirittura la causa del neo imperialismo comunista, sovietico o cinese che sia”.



Questo avveniva in un contesto difficile, con il più forte Partito Comunista nell’ Europa democratica che aveva base in Italia.

Italia confinante con il regime comunista slavo di Tito che ci aveva strappato pezzi di terre, epurato e massacrato italiani nel genocidio oltre il nuovo confine.

Quando molti erano sempre più affascinati dalla offensiva di immagine promossa dal Segretario Generale seguente alla denuncia delle atrocità criminali di Stalin attuata da Kruscev, ed il mondo si  illudeva di una apparente fiammata democratica stroncata dalle cinghia dei carri armati che spezzavano le ossa al popolo ungherese invadendo il cuore dell’Europa.

Tutto questo nel quadro di un trattato firmato a Parigi nel 1947 e le clausole segrete relative alla “resa senza condizioni” che né io, né Fusaro,  abbiamo mai letto ma delle quale i vertici del Msi erano dettagliatamente a conoscenza che subordinavano la sovranità nazionale agli interessi angloamericani.

Almirante ed il Msi operarono in questo perimetro e se ne deduce che in questo nuovo sistema, o regime,  piaccia o non piaccia ci si ritrovò in pessima compagnia.

Tutti!

Eccezion fatta per i pochi, pochissimi ancora in vita,  che ancora si professano “prigionieri politici” nelle patrie galere e che ancora lì stanno.

La scelta atlantica fu osteggiata anche da Pino Rauti, unico e vero motivo delle sue traversie giudiziarie, che lo porteranno – ormai vecchio – ad affermare nel 2008 e da poco rinviato a giudizio (concorso in strage) per la bomba neofascista di Piazza della Loggia che il 28 maggio 1974 provocò otto morti e 108 feriti: «è la terza volta che mi accusano di un reato di strage. Prima quella di piazza Fontana, poi quella della stazione di Bologna. In entrambi i casi sono stato completamente assolto: anzi, chi mi accusava per la strage del 2 agosto è stato condannato per depistaggio. Adesso anche Brescia. E chi sono? Uno stragista a vita? (…) La verità è che io sono un caso limite di perseguitato politico: un perseguitato politico in servizio permanente effettivo. L’idea che mi sono fatta è che sia in passato sia adesso le accuse contro di me hanno un motivo ben preciso: servono per facilitare il centrismo. Oggi come allora, la situazione italiana non è bella. Tanto vale dare in pasto all’opinione pubblica persone delle cosiddette due ali estreme, a sinistra e a destra, teste calde o peggio, stragisti “che spargono sangue”, per convincerla a sopportare. E vengono fuori le farneticazioni di certi magistrati».

Un quadro dunque per nulla servile. Drammi e persecuzioni indicibili per la classe dirigente che mi ha preceduto. Certe affermazioni vanno rigettate.

In questa sorta di comvinta difesa  a fronte del maldestro tentativo di “processo ad Almirante” da parte di Fusaro, concludo con le testiminianze contenute in uno scritto di Mirko Tremaglia, Franco Franchi, Cesco Giulio Baghino, Michele Marchio, Antonio Rastrelli, Mario Biagioni, cesare Biglia, Umberto Scaroni, Bruno Zoratto: il messaggio è chiarissimo. Contro il prezzo e la maledizione di Yalta, restituire all’Europa, la sua libertà, la sua umanità, la sua forza. Una Europa non più sconfitta, non più schiava o serva, partecipe, da pari a pari,  della sua sicurezza e di tutto il respiro dell’occidente: ridare a tutti i popoli il diritto alla parola Patria e alla nostra amata patria il senso e il segno della vita, della dignità e della sua missione. Europei non più gregari ma protagonisti nella Storia; Europa Nazione vera aspirazione e traguardo delle nuove generazioni e pertanto: ALLEATI Sì – DOPPIO GIOCO NO – SERVI MAI. In questi termini e principi si rafforza l’alleanza e la difesa dell’ Europa, che deve assumere il ruolo di nuova centralità politica e militare d’Occidente”.

Era un documento del Congresso di Sorrento nel 1987. Il Muro di Berlino non era ancora crollato e chi scrive era un adolescente. Fusaro un bambino.

Da lì a poco Giorgio Almirante cessava la sua vita terrena stroncato da una grave malattia. Non c’eravamo. Quello che sappiamo o lo abbiamo letto da qualche parte,  o ci è stato raccontato.

Di Almirante ho letto il suo testamento spirituale:  “Non ho voglia di vivere a lungo. Quello che potevo fare di buono l’ho già fatto: ho seminato fede e speranza per tanti anni. Ho esortato al coraggio e alla pazienza un popolo che, se avesse avuto pazienza e coraggio, non sarebbe finito così male. Ho diffuso amore per idee buone e semplici. Di più non potrò mai fare. Ed è bene che uomini come me non raggiungano il successo. Degli uomini come me si deve poter dire: era fatto per i tempi duri e difficili, era fatto per seminare e non per raccogliere, era fatto per dare e non per prendere. Vorrei tanto che, quando non ci sarò più, si dicesse di me quello che Dante disse di Virgilio: facesti come colui che cammina di notte, e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso. Egli cammina al buio, si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri”.

Questo si deve scrivere di Almirante ed anche per questo gli vanno intitolate vie.

È grazie anche a lui se possiamo continuare a professarci contro ogni imperialismo soprattutto d’oltreoceano.

E’ grazie anche a lui se possiamo continuare a credere nell’Europa Nazione federazione delle  Patrie che sarà.

E’ grazie anche a lui se possiamo dire di essere gli unici legittimati a farlo.

Precedente Riccardo Prisciano in sciopero della fame sotto il Ministero della difesa. La solidarietà di De Luca e Prospettive Future Successivo Degli albanesi, degli africani e dei futuri flussi migranti. Non si combattono gli effetti, ma le cause scatenanti.