Dal macrocosmo globale al microcosmo salentino. Spunti di riflessione.

           di  Vincenzo Scarpello

I mutamenti epocali che hanno coinvolto l’inizio del ventunesimo secolo, impongono una riflessione profondissima sulle determinanti ideali che sono e devono essere alla base dell’azione politica della destra italiana.
Non è più possibile parcellizzare le aree di azione, essendoci una tale sovrapposizione di temi e di strutture che, a meno che non impazzire nel cercare di dipanare il bandolo della matassa con un approccio diretto, debbono invece essere per lo meno analizzate per singole determinanti.
Non è possibile spiegare oggi la contemporaneità, infatti, sulla base di una sola chiave di lettura, ma occorre trovare un difficile coordinamento tra le stesse, individuabile in un approccio necessariamente multidisciplinare, in cui entrano in gioco la geopolitica anzitutto, l’analisi dei flussi demografici, la modificazione radicale del mercato del lavoro e dell’economia in generale, la sociologia dei nuovi strumenti di diffusione delle idee con i suoi importantissimi corollari dei cosiddetti “web influencer” e dell’applicazione ideologica del “facts cecking”, la politologia ed il diritto, che vede una preoccupante involuzione nel perseguimento di surrettizi “nuovi diritti”.
La sola elencazione delle discipline che dovrebbero essere gli strumenti di analisi per elaborare una strategia politica, rischia di occupare tutto lo spazio di azione per quanti vogliono declinare nel presente, nella modernità, i principi eterni della destra, che si incarnano nel perseguire nel panorama politico italiano dell’oggi, la trimillenaria tradizione della cultura italiana.
Ciò è vitale, fondamentale, in un’area politica che da sempre ha visto una proliferazione di eccellenze ideali, che quasi mai e molto difficilmente sono riuscite a ritrovare una sintesi, nello scontro tra anime liberali e nazionalpopolari, tradizionali o moderniste, secolari o confessionali, atlantiste o isolazioniste.
La formula rautiana dell’”andare oltre” oggi significa comprendere quali interlocutori selezionare nell’ambito di un progetto politico di più ampio respiro, dal momento che la rivoluzione politica europea avvenuta negli ultimi vent’anni ha visto il trionfo di una vastissima area di formazione liberale che ha privato di significato la tradizionale distinzione tra liberal-conservatori e liberal-socialisti, che aveva caratterizzato la politica europea degli ultimi 50 anni.
Il processo di marginalizzazione delle ali estreme, sempre più radicalizzate e quindi sempre più funzionali alla giustificazione degli equilibri dell’establishment è andata di pari passo con la progressiva erosione delle categorie conservatrici e progressiste, che si sono viste a loro volta confinate in ulteriori ali, mentre si sta sempre più creando al centro una vasta ed indistinta area che riunifica le anime del cosiddetto moderatismo (che di moderato non ha nulla, procedendo con tecnica estremista e radicale nella criminalizzazione del dissenso).
Per arginare tale processo occorre pertanto una riaffermazione delle distinzioni ideologiche, dal momento che l’argomentazione della fine della distinzione tra destra e sinistra è quanto di più funzionale alla creazione di un moloch politico centrista, ben incarnato dal bonapartismo di Macron in Francia.
Occorre paradossalmente interfacciarsi con la sinistra che parla di lotta di classe, che rilegge Marx ed applica Gramsci, non certo trasformarsi nei disprezzati giannizzeri di emiri locali che pensano di puntellare a destra il proprio consenso illudendo una generazione che con slancio ha trasformato le proprie mortificazioni e delusioni in inane desiderio di farla pagare alla casa madre politica.
Tali preoccupanti segnali sono il significante dello snaturamento di una parte non inconsistente della destra salentina, che è pur vero è “andata oltre” rispetto agli steccati ideologici tradizionali, ma lo ha fatto andando nella direzione di coloro i quali sono nemici giurati della classe operaia e di quanti erano invece gli interlocutori privilegiati dell’originaria intuizione rautiana.
Ovviamente occorre trovare interlocutori disposti al confronto, dal momento che ogni possibile dialogo è stato congelato da una riaffermazione dissennata degli steccati tradizionali dell’antifascismo e dell’anticomunismo, oggi più che mai funzionali alla creazione di quest’idra indistinta dalle molte teste e dalle molteplici forme.
D’altro canto già buona parte del dissenso è stato incanalato, fino a depotenziarlo, in una forza politica che dovrebbe incarnare il “nuovo” e che invece sta riproponendo esilissimi equilibri tra le anime giustizialiste di destra e sinistra, e che per questo è condannata a non poter scegliere ciò che vuole essere da grande. Motivo che ha pagato elettoralmente nelle recenti elezioni amministrative, nelle quali il Movimento Cinque Stelle è rimasto ingessato nella difficile definizione della propria identità politica.
La sinistra, invece, è stata tenuta unita col mastice scadente dell’antifascismo ad ogni costo, che ha finito per favorire quelle anime interne divisive e inconcludenti, dando il destro alla gestione dispotica dell’emiro di Bari.
Anche questa volta, complice la scriteriata gestione dell’Episcopato italiano, affidato nelle mani di sconclusionati e velleitari sognatori con l’ambizione di profetare, il contributo dei cattolici è stato praticamente nullo, disperdendosi coloro che dovrebbero incarnarne le istanze nel sostegno a formule altrettanto sconclusionate e velleitarie, che hanno finito per far annegare il pensiero sociale della Chiesa italiana in questa innaturale e contemporanea degenerazione del liberalismo occidentale, fino a disperdersi in anatemi acriticamente umanitaristi, che nulla hanno a che fare con la concezione integrale dell’uomo propria della Dottrina sociale della Chiesa.
Per questo occorre che la destra salentina si dia una costruttiva svegliata, giacchè il Salento mai come in questi tempi ha l’irripetibile occasione di trasformarsi nel laboratorio politico d’Italia, pur nella considerazione delle note tare che affliggono da decenni le galassie del centrodestra di terra d’Otranto.
La destra deve tornare ad essere avanguardia, proporre modelli di integrazione differenti da quelli fallimentari e falliti proposti dal liberalismo, che ha visto nelle migrazioni solo uno strumento di gestione di nuovi schiavi, da sfruttare non solo come manodopera a costo zero, ma anche come occasione per trasmutare il senso di empatia verso chi, disperato e naturalmente mosso dalla fame, cerca fortuna, come un pretesto per arricchire vergognose lobbies che si sono anche qui create, volte a gestire managerialmente le emergenze e a trasformarle in un vergognoso business.
Deve essere avanguardia nella difesa dei diritti dei lavoratori, offesi ed umiliati da un mercato in cui il peso della politica si è praticamente azzerato, confrontandosi coi nemici di un tempo, di formazione gramsciana, e soprattutto dotati di onestà intellettuale, ed anche con la parte sana del liberalismo italiano, componendo le differenti istanze nel superiore interesse del lavoro nazionale.
Deve essere avanguardia nella salvaguardia della nostra identità, intesa in senso dinamico, che non si limiti cioè a certo antiquariato tradizionalista che rischia di rinchiudersi nella torre d’avorio della propria purezza, ma renda attuale il deposito millenario tradizionale che riposa nel sottosuolo valoriale di questa terra antichissima e gloriosa.
Deve essere avanguardia nella politica, ritrovando nella prudenza e nello stile che ci ha sempre caratterizzato la forza della propria identità, compatta ed unita nel perseguire un comune obiettivo, senza perdere un momento di vista gli errori che possono essere stati commessi, e che saranno inevitabilmente commessi, senza però correre il rischio distruttivo di trasformarli in perenni capi di imputazione, con l’evidente conseguenza di rincorrere i modelli del Partito Democratico, in cui permane evidentissimo un insostenibile clima da notte dei lunghi coltelli.
Queste, banalizzandole e semplificandole forse fin troppo, e mi scuso con i lettori per questo, possono essere alcune chiavi di lettura che, partendo dall’analisi del nostro microcosmo politico, possono essere applicate al macrocosmo globale che ci è sempre più col fiato sul collo, e darci lo spunto per lavorare insieme, per fare meglio.
Questo è l’ultimo treno che ci è concesso prendere, e dobbiamo per questo avere l’accortezza di non farlo deragliare, perché, dopo questo, c’è solo il disastro.

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