Degli albanesi, degli africani e dei futuri flussi migranti. Non si combattono gli effetti, ma le cause scatenanti.

Editoriale di Giovanni De luca

L’8 agosto del 1991 più di ventimila profughi albanesi attraccavano nel porto di Bari con una nave mercantile denominata “Vlora”. Fu un esodo proveniente da Est inaspettato. Molti hanno ancora negli occhi le immagini di quella nave stracolma di persone che giungeva nel porto di Bari dopo aver forzato il blocco navale del Governo italiano.

“Linea dura” di un paese debole, ancora oggi lo è e non ha imparato la lezione- L’Italia della Legge Martelli del 1990, che distingueva nettamente tra rifugiati politici e semplici migranti “economici” — tra cui, secondo il governo, andavano annoverati gli albanesi. I mesi successivi furono caratterizzati da una enorme confusione e non si riuscì a gestire nessuna accoglienza ed alla fine, furono quasi tutti rimpatriati con la falsa promessa di essere trasferiti in altre città italiane o di denaro in cambio del rimpatrio . Una vicenda meschina per cui l’Italia fu ufficialmente rimproverata dall’UNHCR.

Corsi e ricorsi storici.

Ricordare quei mesi del 1991 è utile per confrontare quei flussi migratori con gli episodi della storia recente che, sebbene non paragonabili dal punto di vista dei numeri, presentano molte somiglianze e non solo per la cattiva gestione. Guardare a quell’ esodo è importante dopo ventisette anni, per capire quali sono stati gli sviluppi di quel flusso migratorio.

Al termine “migrante”  si è sostituito il termine denigratorio “immigrato”. Molti colpiscono nel vuoto cercano di fermare il flusso di queste persone de-personalizzate ma non la causa, ossia, quelle politiche planetarie e mondialiste che basano la loro logica sul profitto e su tesi economiche liberali e turbo capitaliste. Oggi come allora, quello che la gente percepisce è la devianza e l’aumento della criminalità, nuova povertà, emarginazione sociale, si organizzano proteste. Non è solo un allarme mediatico, ma la diffusione dell’idea di un pericolo che porta direttamente a gravi errori che minano l’integrazione, la pacifica convivenza, l’accoglienza e generano nuove forme di razzismo.

Ventisette anni dopo, che ne è dell’ “invasione degli albanesi?” 

Gli albanesi regolarmente in Italia erano poco meno di mezzo milione, pari al 13,2% del totale dei cittadini stranieri nel paese e sono spariti dalle cronache nel ruolo di spauracchio criminale saldamente mantenuto fino ai primi anni del duemila.  La comunità albanese in Italia oggi è  modello esemplare di integrazione. Mentre coloro i quali sono rientrati in “Patria”, sono classe dirigente del paese: Ministri, dirigenti dei ministeri, amministratori locali, medici, avvocati, ingegneri. Il fiori fiore della nuova Albania.

Qui in Italia, invece, dopo anni di politiche disastrose, migliaia di morti in mare, una costante emergenza, una continua de-umanizzazione dei profughi, un governo che esulta per “il calo degli sbarchi” e l’altro per aver “chiuso i porti” la lezione non è servita.

La classe politica italiana, da destra a sinistra, è completamente impreparata. Questo governo brancola nel buio sin dalle prime battute. Incapaci di comprendere che oggi come ieri, da queste tendenze migratorie derivano nuovi bisogni di servizi alla persona.

Chi scrive nella sua vita ha letto di uomini capaci di separare in due i mari e mettere in salvo il proprio popolo. Di uomini capaci di camminare sulle acque, ma mai di nessuno che sia stato capace di fermare i fiumi.

L’immigrazione indotta, “prodotto” delle politiche alle quali già ci siamo riferiti, questo è. Un fiume fra l’altro oggi in piena.

Milioni di uomini sradicati dalla loro terra di origine, dalle guerre,  o allettati da internet  e dalla “terra promessa”. Poco importa, sono dettagli. Quello che dovrebbe interessare invece sono le sfere d’intervento nelle quali cresce e si moltiplica  il “bisogno”. Dobbiamo intervenire  se non vogliamo che questi uomini (e donne) si organizzino in strutture anti Stato, di stampo mafioso, terroristico o sovversivo che già emergono come nuovi allarmi.

La formazione professionale va rivista. Servono mediatori culturali transnazionali, i nostri laureati, impacchettati e stipati negli uffici di collocamento potrebbero trovare uno sbocco lavorativo. Servono esperti d’inserimento scolastico dei minori, occorrono curatori ed accompagnatori. Bisogna far cresce in particolare l’orientamento alla scelta e alle modalità di accesso all’istituto scolastico nel paese di approdo da parte di uno staff preparato. Urge sostegno psico-sociale e counselling (anche a cavallo tra paese di origine e paese di arrivo). In particolare servono forme di supporto alla famiglia transnazionale (sostegno alla gestione delle relazioni a distanza, nelle fasi del ricongiungimento o del reinserimento familiare successivo al ritorno) e di affiancamento individuale nell’elaborazione del progetto migratorio e dello shock culturale connesso alla partenza o al ritorno, per non imbatterci in tanti Kabobo.

Dobbiamo pretendere una conferenza internazionale dei paesi rivieraschi del Mediterraneo, di questo se ne deve fare carico l’Italia che deve chiedere l’istituzione di una “commissione speciale europea” ubicata nel meridione d’Italia. Noi candidiamo Lecce, anche  per riparare al grave torto subito con la mancata assegnazione del Premio Nobel per la Pace, in quanto terra di accoglienza. Premio che ci spettava sul finire degli anni novanta.

Serve una Agenzia per la cooperazione e lo sviluppo di politiche di tutela nei paesi di partenza ed in quelli di arrivo dei flussi migranti. Con lo scopo di creare una “sviluppo del terzo e quarto mondo”, il nostro aiutiamoli a casa loro, che non è “operazione Ponzio Pilato”.  Serve per contrastare la desertificazione, l’inurbamento selvaggio, la scomparsa delle colture agricole locali, per gatantire condizioni minime di sanità e di pronto intervento, per assicurare ad ogni livello la difesa della “cultura” delle tradizioni e delle specificità contro ogni forma di stravolgimento, appiattimento, livellamento mondialista.

L’Italia, abbandonando l’Africa,  l’ha condannata allo sfruttamento disumano di potenze extra europee quali gli Usa, la Cina ed alla politica coloniale di Francia e Gran Bretagna. Al sottosviluppo, alla discriminazione, alle lotte tribali fino al genocidio.

Eccola la risposta politica di Prospettive Future. Alla crisi internazionale della politica e della mancanza di progettualità, rispondiamo che la proposta – in tutta evidenza – noi l’abbiamo e di conseguenza non ci sentiamo di assecondare le politiche del momento di nessun politicante improvvisato dentro e fuori Governo.

 

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