Giorgio Almirante ieri ed oggi, nel giorno del suo centoquattresimo compleanno

Editoriale di Giovanni De Luca

C’è un sottile filo conduttore che unisce Almirante a molte delle nostre comunità, derivante  dall’arte teatrale della famiglia. La storia degli Almirante ed il mio Comune é una storia interessante.

Possiamo affermare con certezza che nel luglio del 1901 Mario Almirante figlio di Nunzio e padre di Giorgio, si trovava a Novoli (Lecce) e la prova la dà un testo scolastico emerso dalle carte appartenute a Lucia Garbocchi. Si tratta di un certificato d’esami di compimento della V classe elementare rilasciato a Mario Almirante il 27 luglio 1901. La compagnia Almirante non solo inaugurò il nostro teatro nell’aprile del 1891, qui tornò fino agli anni in cui dai primi del ‘900 contribuì alla nascita di altre compagnie filodrammatiche. Quanto abbia influito il sistema scolastico novolese sull’istruzione del padre di Giorgio è presto detto, e così di riflesso sulla formazione individuale dell’amato figlio che trascorse l’infanzia in giro per l’Italia spostandosi di città in città. Particolarmente forte il legame con gli zii Luigi ed Ernesto.

Almirante a Novoli (Le)

Giorgio ricorderà quando lo zio “Gigetto” chiedeva dietro le quinte: “Giorgino vai a vedere se c’è gente”. Disse Almirante: “una volta gli chiesi, ma zio perchè?” –  Ed egli: “perchè arriverà il giorno in cui il teatro sarà vuoto. Allora bisognerà prepararsi ad uscire dalla scena in punta di piedi per non disturbare”.

Il teatro della politica oggi è vuoto, privo di ogni contenuto. La scena indegnamente occupata da figuranti. Restano le gesta di grandi uomini dei quali la straordinaria attualità si impone sulla confusione generale.  Vale la pena ricordare che Almirante intravide prima di tutti il livello di corruzione della classe politica.  Le logiche consociative e spartitorie, l’occupazione selvaggia del potere, la svendita degli interessi e della dignità nazionale e ne fu un acerrimo oppositore. Traccia la via d’uscita in una Repubblica in progressiva decomposizione teorizzando la nascita della Repubblica Presidenziale con il Presidente di tutti gli italiani eletto dal popolo.

Non ne parlava nessuno.

Quando pronunciare la parola “Italia” per molti era una vergogna, Almirante tesseva in profonda solitudine l’elogio della Patria tradita e meditava il suo riscatto nella più vasta missione europea.

Almirante a Lecce

In un sistema di democrazia imperfetta Almirante in uno slancio ideale fonde il binomio “democrazia partecipativa” – non come un mero sventolio di vuoti principi racchiusi in una parola spesso strumentalizzata- e lo coniuga con l’alto  valore non negoziabile della “libertà!”

Negli anni più duri dello scontro ideologico fra destra e sinistra, nel pieno dello scontro voluto dal sistema fra “piazza di destra e piazza di sinistra”, apparati deviati in politica, nei militari, nella magistratura che occupavano  – e forse occupano ancora –  illegittimamente punti strategici nei posti chiave dello Stato studiarono a tavolino la “strategia della tensione”. Davanti ai morti di destra e di sinistra, in un clima di bombe classificate di estrema destra o sinistra, Almirante esercitava lo strumento del dialogo, esortava alla calma, incitava alla pacificazione, rigettava la violenza come strumento di lotta politica e disse: “quante volte di fronte ai corpi martoriati dei nostri figli, mi sono detto “vendetta”, ma poi mi sono ricacciato in gola quelle parole ed ho gridato “prima l’Italia, poi l’Italia e poi ancora l’Italia”.

L’onestà intellettuale di Almirante è dimostrata dal rispetto che gli è riconosciuto da “Botteghe Oscure” un tempo il nemico, divenuto poi l’avversario storico. Almirante rese onore al feretro di Enrico Berlinguer appresa la notizia della sua morte.  Un gesto composto, un atto di superamento dell’odio che apre spiragli ad un “comune sentire”.

I grandi uomini fermano e gelano la storia.

Da li a breve i dirigenti del Partito Comunista Italiano resero il dovere sui feretri di Almirante e Romualdi.

Il suo testamento politico lo affidò ai giovani. Scrisse: “Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l’avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarci. In altri tempi ci risollevammo per noi stessi, da qualche tempo ci siamo risollevati per voi, giovani, per salutarvi in piedi nel momento del commiato, per trasmettervi la staffetta prima che cada di mano, come ad altri cadde nel momento in cui si accingeva a trasmetterla. Accogliete dunque, giovani, questo mio commiato come un ideale passaggio di consegne. E se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate: Vivi come se dovessi morire subito. Pensa come se non dovessi morire mai”.

Siamo in pedi.

Nelle lacerate Istituzioni della Repubblica Italiana ci siamo ancora anche nel suo nome e contribuiamo alla crescita civile, sociale e culturale del paese in termini di idee, di contributi politici ed amministrativi.

Di valori tramandati.

Non ho voglia di vivere a lungo – scrisse ancora – quello che potevo fare di buono l’ho già fatto: ho seminato fede e speranza per tanti anni. Ho esortato al coraggio e alla pazienza un popolo che, se avesse avuto pazienza e coraggio, non sarebbe finito così male. Ho diffuso amore per idee buone e semplici. Di più non potrò mai fare. Ed è bene che uomini come me non raggiungano il successo. Degli uomini come me si deve poter dire: era fatto per i tempi duri e difficili, era fatto per seminare e non per raccogliere, era fatto per dare e non per prendere. Vorrei tanto che, quando non ci sarò più, si dicesse di me quello che Dante disse di Virgilio: facesti come colui che cammina di notte, e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso. Egli cammina al buio, si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri”.

Nell’aprile del 1987 sentendo la sua fine terrena vicina afferma: “devo prepararmi ad uscire in punta di piedi, ma non è paura è prospettiva di ogni uomo che affida se stesso ad un compito nel quadro consentitogli”.

Un errore.  Dalla scena non è mai uscito.

La straordinaria presenza di Giorgio Almirante si avverte nella vita di questa Italia ancora in ginocchio.  E’ presente dopo trent’anni dalla sua dipartita terrena come in un Teatro dell’inspiegabile che vince la morte e regala l’immortalità.

Realizzeremo la Repubblica Presidenziale nella Terza Repubblica possibile, al di là di ogni corruzione politica e morale e lo faremo per regalargli ancora un sorriso.

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