Mauro Giliberti interviene sulle polemiche del club “amici di Mario Merola” che e’ diventato il vecchio centrodestra. Il suo e’ un manifesto politico.

Riportiamo integralmente l’intervento di Mauro Giliberti, evidenziando alcuni punti che ci sembrano ottimi per ripartire con un nuovo centrodestra.

IL CENTRODESTRA È DEI LECCESI.
LA SOCIETÀ CIVILE SI RIPRENDA CIÒ CHE È SUO, SENZA CHIEDERE PERMESSO.
– Breve riflessione dedicata a chi mi ha votato (e non).

Buon sant’Oronzo ai leccesi.
Lo indirizzo ai tanti che in questi ultimi mesi mi hanno insegnato aspetti inediti della vita.
Ma avverto ancor più forte l’esigenza di esternare delle emozioni dedicate a chi ha votato centrodestra.
È chiaro che fa male. Ogni mattina apriamo il giornale e siamo convinti che avremmo potuto fare di più e meglio, che le nostre idee di città ed il nostro programma erano e restano le più discontinue e nuove del panorama leccese.
Penso, perché so, che le mie scelte avrebbero sorpreso tutti sino allo stupore, a partire dallo staff del Sindaco e dalla Giunta.
Ma sono emozioni appunto, e come tali fanno crescere e riflettere senza risolvere la questione dirimente: abbiamo perso le elezioni.
Anzi, le ho perse io, e non ho difficoltà ad ammettere una sconfitta figlia di una legge elettorale dura e strana; ma è legge. Dunque pur essendo stato in assoluto il candidato più votato, siedo orgogliosamente e convintamente all’opposizione, per rappresentare con tenacia e serietà il centrodestra. E grazie al lavoro prezioso e straordinario dell’Associazione MoviMenti lo faccio con l’autorevolezza che mi conferisce lo spessore professionale, culturale ed umano degli uomini e delle donne che ne fanno parte.
Da sempre si chiama “società civile”.
Ho cercato di coinvolgere questo segmento di città con tutte le mie forze, perché ne faccio parte e perché penso che sia la salvezza del centrodestra. L’ho fatto sin dal primo giorno, quando a gennaio in centocinquanta ci mettemmo in marcia dal faro di San Cataldo – finalmente centrale nel dibattito – per raggiungere alla “rotonda” gli uscenti ed i rappresentanti delle liste che mi hanno onorato del supporto.
Oggi sono consapevole di non poter essere il riferimento dei partiti della coalizione, per via di una ormai radicata frammentazione; ed è un ruolo che non ho cercato. Ma sono certo di essere un riferimento per la spinta civica di centrodestra.
E so di interpretare il sentimento della maggioranza dei leccesi (che è ancora moderata) nel dire che il dibattito di questi giorni, le liti interne fra passato remoto e passato prossimo, le prove di forza, i puntellamenti e le dichiarazioni dal sapore acre e risentito, hanno procurato dolore e dispiacere in chi mi ha votato e sostenuto per convinzione.
Parallelamente al cospetto appaiono gigantesche, senza esserlo, operazioni come quella delle tessere per lo stadio o i biglietti per le giostre – giuste quanto ruffiane.

Eppure la mia è la coalizione che aveva accettato la proposta del candidato sindaco della CartaFamiglia, uno sforzo vero che avrebbe migliorato la qualità della vita di tanti leccesi.
Mentre regaliamo consensi, io rivivo il dolore della sconfitta leggendo le dichiarazioni di conferma dell’esistenza di svariate ed insidiose guerre fredde interne alla coalizione che ho tentato di ricompattare (perché per questo sono stato, con mio piacevole stupore, chiamato in campo da tutti).
Senza successo, evidentemente, perché pur avendo trovato l’unione formale la sostanza è un’altra. Ed il centrodestra sta tirando la corda. Un pezzo di elettorato ha trovato casa altrove, ma in tanti non se la sentono di virare a sinistra ora che il quadro è chiaro ed inequivocabile.
Noi non possiamo permetterci di cedere agli istinti di risentimenti e di vendette, perché è scientifico il dato che questi portano alla sconfitta.
Ed io tollero, accetto e persino comprendo il fatto che si possa sacrificare – involontariamente – un uomo, un candidato sindaco, sull’altare delle pesature interne, degli equilibri da ridefinire, dei posizionamenti da ridelineare. Ma non posso accettare, né tollerare, che a bocce ferme e senza alcun motivo si sacrifichi una storia, un’idea, una memoria, un’appartenenza, un intero pezzo di città per il solo gusto di intraprendere una gara a chi ha il sassolino più appuntito da togliere dalla scarpa.
Non vi è elettore che comprenda un comportamento fratricida e disfattista.
I professionisti della città sono invece ancora attratti dalla capacità propulsiva di una potenziale classe dirigente che voglia farsi motore dell’economia, mettere in rete edilizia, turismo, marine e centro storico. I cittadini vogliono sentire linguaggi e schemi nuovi su parcheggi, commercio, sviluppo, fiscalità.
Dobbiamo chiedere, con umiltà e lungimiranza, l’intervento diretto della società civile nel centrodestra, perché diciamocelo, questo appartiene alla gente di Lecce, ed a nessun altro.
Per questi motivi e con questo spirito ho rifiutato la Presidenza del Consiglio, pur ringraziando il mio avversario per l’offerta politica. Per me, dato il risultato elettorale non corrispondente alla formazione dell’aula, sarebbe stato un ruolo utile solo a fini personali.
Ma il rispetto che sento nei miei confronti, da parte di tutti, persino dagli avversari, vale più di ogni altra cosa. E da una rinuncia personale può passare una rinascita corale. È questa la libertà che ti dà il fatto di aver studiato, di avere una professione ed un lavoro, di non dipendere dalla politica e di non avere padrini né padroni. Altro che burattini. Si chiama dignità.
Non perdiamo questa occasione, tiriamo fuori il meglio, chiediamo alle intelligenze più vivaci della città di darci una mano a riconnetterci con il popolo, anche in considerazione del fatto che dall’altra parte il centrosinistra sta dimostrando di non avere idee nuove, e rinvigorisce gli entusiasmi solo gettando dalle finestre ciò che non conviene tenere, a volte anche cose ben fatte.

Mauro Giliberti
Consigliere Comunale di opposizione


A margine di queste considerazioni annunciano la nascita del Movimento per Lecce, nei prossimi giorni sarà individuato il portavoce cittadino.

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