Per l’Europa dei popoli una battaglia strategica di posizionamento.

editoriale di Giovanni De Luca 

Uno dei temi sul tappato che riguardano i rapporti fra l’Italia e questa unione economica europea riguarda una precisa visione d’insieme sulle strategie d’attuare per il superamento di questa gabbia malefica e la conseguente libertà dei popoli del vecchio continente. Il tema è ampio e va inquadrato in una netta contrapposizione fra il Nord ed il Sud del mondo, il Nord ed il Sud d’Europa, il Nord ed il Sud di questa nostra nazione.

Intanto l’interrogativo: Europa o  Europee?

Come abbiamo già scritto, vogliamo evidenziare che al collaudato e vincente modello nord-europeo arrivato ai suoi limiti di sviluppo – e da qui l’evidenziarsi del tracollo del sistema liberal capitalistico che denunciava Pino Rauti – si ripropone con forza la necessità di modelli nuovi che guardano al Sud del vecchio continente oggi troppo “periferico”, troppo “marginale”, troppo “isolato”.

Al tempo stesso il Sud può paradossalmente diventare il motore e spinta verso il cambiamento perché è al centro dei flussi internazionali, sbocco strategico sul Mediterraneo che si è rimesso in movimento anche per la grave crisi dell’immigrazione.

La disfatta del sistema economico di questa Europa, travolgerà quello che è stato sino ad ora. Sarà vanificata l’attuale perdita dell’ universo monocentrico (i vecchi Stati nazionali)  nella prospettiva “policentrica” che sarebbe dovuta sfociare nella valorizzazione delle entità politiche sub-nazionali in nome dell’unione anche in sede politica. Invece questa Europa sta morendo!

Se si fosse raggiunta l’ Europa politica dei nostri “padri costituenti” –  Drieu La Rochelle giusto per fare un nome fra i tanti dei quali scriveremo – rappresentata dalla nostra Idea,  essa avrebbe dato vita ad una collaudata Europa Nazione delle Patrie e dei Popoli.  Argomento di attualità sarebbero le istanze di federalismo da più parti avanzate, con  conseguenti esigenze di una reale autonomia territoriale nell’ottica di “piccoli Stati” e/o “micro-Patrie” come teorizzava Gianfranco De Turris.

Quanto più l’Europa politica si sarebbe dovuta unificare, tanto più si sarebbe necessitato del contrappeso di formazione “piccole”, Patrie ricercate in una unità di dimensioni ridotte perché l’Europa sarebbe stata la “casa comune con molte stanze”: la Nazione.

Oggi il passo dovrebbe essere opposto a quello indicato dai leader politici del momento. C’è bisogno di Stato nazionale, di Presidenzialismo, della difesa delle identità dei popoli e delle loro tradizioni contro la logica disgregatrice, di livellamento e di conseguenza di appiattimento al mondialismo ed alla globalizzazione. La visione giusta, l’Idea originale e mediterranea che vince su tutte le Idee, è ancora una volta è la nostra.

Per difenderci dalla globalizzazione (ma senza andare troppo lontano, anche dalla possibile implosione di questo “modello” europeo alla luce del fallimento del consiglio degli scorsi giorni) l’unità della Nazione “serve”. Diversamente saremmo schiacciati più di quanto già siamo dagli altri Stati.

Stati? Veri continenti!

Gli Usa e l’emergente impero economico-finanziario del Cremlino che guida l’accordo euro-asiatico con Iran, India e Pakistan tiene sotto scacco finanche Pechino.

Contro ogni spinta secessionista e separatista bisogna tenere ferma l’idea di tutela e valorizzazione dell’unità nazionale nel rispetto delle specificità etniche, delle differenze culturali, delle tradizioni, delle identità tutte intese come patrimonio e ricchezza del popolo italiano. E’ indispensabile!

La sovranità nazionale deve essere riaffermata in questa unione economica dove da troppo tempo siamo costretti dall’inefficienza della nostra classe dirigente, in una condizione subalterna e recessiva.  Quindi, la nostra Idea di Europa!

All’Europa economica va conferita una prospettiva che deve essere anche un “fine” ed un sentire “comune”. Una dimensione politica che permea l’umanità nella ininterrotta continuità storica con le
radici greco-romane e cristiane. Un modello propulsivo e creativo di sviluppo sostenibile capace, quindi, di coniugare memoria storica e specificità locali con la modernità, la giustizia sociale ed il
progresso.

Oggi l’Europa è ammalata.

Usiamo questa metafora alla ricerca della possibile cura perché siamo europeisti secondo la grande tradizione della cultura italiana e, al tempo stesso, nettamente  eurocritici” nei confronti dell’attuale unione economica. Per la sua storia millenaria di civiltà l’Europa non può – non deve! – essere considerata solo un “mercato comune” per la libera circolazione di uomini, mezzi e servizi. Questa non può essere considerata né una valida Idea, né un punto d’arrivo, un traguardo. E’ il fattore scatenante della crisi per il Vecchio Continente che scaturisce proprio dalla supremazia delle scienza e dell’economia sui valori “spirituali”. Meri numeri, freddi calcoli, sono in contraddizione con la storia d’Europa che aveva fatto della riflessione qualitativa il suo punto di forza.

Mettiamo subito in guardia il lettore dal voler dare risposte immediate a questa crisi epocale che è fra le più acute. Con questo scritto ci avventuriamo in una analisi di lunga prospettiva – su questo presupposto ci dotiamo di un “arco e di una clava”, convinti, come siamo, che ci sono cose che possono essere “modificate” subito (occorre la clava per colpire a breve distanza) – ed altre di più lungo periodo che non dipendono solo dalla nostra ed unica azione (quindi l’arco, per colpire lontano). Per centrare il nostro obiettivo, ossia destare interesse intorno al nostro pensiero al di là dei nostrani, bisogna necessariamente inserirsi nel dibattito sovranazionale. Bisogna schierarsi tra i due modelli, incunearsi nella visione bipolare che contrappone il modello nordico “fordista” a quello dell’Europa “meridia”.

Crediamo che l’Europa debba essere capace di esprimere una sua politica estera di difesa e di sicurezza, quindi debba avere proprie forze armate. Una forza militare estesa da Dublino agli Urali ed oltre, che si ponga come fattore di equilibrio / riequilibrio in un mondo che altrimenti rischia di diventare ingovernabile e socialmente devastato.

Non si ha bisogno di un “colosso” finanziario, un “nano” politico ed un “verme” militare che si fa imporre da altri tutte le scelte strategiche di fondo, anche quelle che disegnano per i prossimi decenni il futuro di aree per noi essenziali. Si ha bisogno dell’Europa dei popoli, una volta egemone forza fiera, orgogliosa delle “sue” radici, del “suo” passato e della “sua” storia. Trenta e più secoli durante i quali ha espresso e costruito Imperi, Codici, Arti, ha accumulato e stratificato Tradizione e tradizioni fra le più alte e complesse, di valore e “spessore”.

Una Europa culla dei “diritti e della giustizia sociale”.

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