Sodalitium Luglio 2018. Editoriale

Editoriale* 

Lo iato tra le affermazioni dei Papi del XIX secolo e la nuova visione che inizia con la Pacem in terris è evidente e su di esso si è molto dibattuto. Esso sta anche al cuore dell’opposizione di Lefebvre e dei suoi seguaci contro il Concilio”.

Non è la prima volta che Joseph Ratzinger esprime la sua opinione sull’inconciliabilità tra l’insegnamento della Chiesa (“le affermazioni dei Papi del XIX secolo”) e quello moderno (Dignitatis humanæ o – come qui – Pacem in terris): ne abbiamo già parlato a proposito del suo discorso augurale alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, su Sodalitium n. 59, pp. 41-43.

Lo iato (nel senso figurato di “interruzione”, “soluzione di continuità”) è quindi “evidente”, cioè immediatamente e totalmente comprensibile.

Il passo di Ratzinger che abbiamo citato è datato 29 settembre 2014, ma era finora inedito (è stato pubblicato dal Foglio l’8 maggio 2018) ed è tratto da un testo inviato dal “Papa emerito” all’ex-presidente del Senato, il liberale Marcello Pera, a commento del suo libro, pubblicato nel 2015, Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità. Non c’è continuità, dunque, tra il magistero dei Papi e la nuova dottrina sulla libertà religiosa, è evidente: salta agli occhi, non ha neppure bisogno di dimostrazione; in due righe Ratzinger getta nel cestino della teologia tutti i disperati tentativi di conciliazione messi in atto da chi ancora al magistero e alla sua autorità si sforza di credere, come Dom Basile del Barroux, padre de Blignières, don Lucien e così via. Ma questo non significa che Ratzinger creda per un attimo che il magistero della Chiesa contro la libertà religiosa sia ancora da prendere in considerazione! Difatti non scrive “magistero” ma “affermazioni”. Non dice, come noi, “della Chiesa”, ma: “dei Papi del XIX secolo”. I Papi del XIX secolo – per Ratzinger – non insegnano ma affermano, e sono confinati, per carità!, dalla gabbia dello storicismo, nel XIX secolo (guai a uscirne, guai a pretendere di insegnare una verità immutabile, e non solamente una mutevole opinione).

Mai come in questi ultimi anni, da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto (solo eletto, si badi bene) al Soglio Pontificio, si levano le voci di alcuni membri (materialiter) della “gerarchia” che giungono a parlare a volte persino di eresia, o a mettere comunque in dubbio dei documenti del “magistero”. Dopo il fronte aperto da Amoris lætitia (dov’è in ballo tutta la morale cristiana sul peccato, il matrimonio, l’adulterio, i sacramenti di penitenza e dell’eucarestia) si è aperto anche quello riguardante la comunione agli eretici, che ha diviso l’episcopato tedesco. Dei cardinali come Burke, Brandmüller, i defunti Meisner e Caffarra, i cardinali Pujats ed Eijk, sostenuti da vescovi come i tre kazaki, Peta, Lenga e Schneider, gli italiani Vigano e Negri, Mons. Laun (ausiliare di Salisburgo), un teologo (sempre rigorosamente in pensione) come Mons. Livi, per non parlare dei numerosi “correttori filiali” tra i quali, ma guarda!, pure Mons. Fellay, hanno parlato di rottura, di incompatibilità con la Fede e la Morale, persino di eresia. Queste disordinate reazioni non danno però, per ora, alcuna speranza. Perché, prima di tutto, si dicono per l’appunto “correzioni filiali”, riconoscendo in J. M. Bergoglio il proprio Padre e il Vicario di Cristo. Al Vicario di Cristo quindi intendono opporsi, e documenti del suo Magistero intendono condannare o mettere da parte come se non esistessero. Esattamente come fa Ratzinger con le “affermazioni dei Papi del XIX secolo”. Perché, poi, hanno tutti (salvo Mons. Fellay, almeno fino ad ora) accettato il Vaticano II e le sue riforme, la libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la riforma liturgica, il nuovo codice di diritto canonico (che ammette casi nei quali si possono dare sacramenti ai non cattolici: cfr. Sodalitium, Il nuovo codice di diritto canonico, l’amministrazione dei sacramenti e l’ecumenismon. 57, luglio 2004).

E allora a buona ragione colui che riconoscono come Vicario di Cristo risponde loro che egli altro non fa che applicare il Concilio. E come si può opporre alla morale matrimoniale di Amoris lætitia il “magistero” di Paolo VI e Giovanni Paolo II, con tutta la loro “santità” canonizzata? Amoris lætitia si oppone a Paolo VI e Giovanni Paolo II? Ma anche Pacem in terris e Dignitatis humanæ si oppongono in maniera evidente alle affermazioni dei Papi del XIX secolo, e tutti questi cardinali, vescovi e teologi resistenti, dubbiosi e correttori non hanno avuto alcun problema nell’accettare la libertà religiosa e dimenticare i Papi del XIX secolo. Anche il Novus Ordo Missæ di “San” Paolo VI si oppone in maniera impressionante, nell’insieme come nel dettaglio, alla teologia cattolica codificata al Concilio di Trento (cardinali Ottaviani e Bacci), eppure nessuno di questi cardinali e vescovi e teologi considerano illegittimo il rito “ordinario” riformato proprio da Paolo VI. È la stessa mano che ha firmato Amoris lætitia ad aver sottoscritto l’autorizzazione ai sacerdoti della Fraternità San Pio X (che ne sono ben lieti) a confessare o benedire le nozze, e l’autorizzazione per i suoi vescovi a ordinare sacerdoti. E persino i resistenti a Mons. Fellay, in nome di una più stretta fedeltà a Mons. Lefebvre (non sia mai che si dialoghi col Papa e coi “Romani”), come Mons. Williamson e don Nitoglia (o quam mutatus es ab illo!) non sembrano aver più grandi problemi con la riforma liturgica, considerata legittima, valida, onorata da miracoli divini, per cui, per carità, alla Messa riformata si può anche assistere (quel gran liberalone di Mons. Fellay non è ancora arrivato a dire così chiaramente delle cose del genere). Povero “tradizionalismo”, in che stato è ridotto! (per non parlare dei laici, come è tristemente evidente nel fenomeno di Radio Spada di cui ancora scriviamo in queste pagine).
Noi speriamo sempre che gli occupanti delle sedi episcopali abiurino finalmente tutti gli errori modernisti veicolati dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono seguite: allora, e solo allora, la loro azione sarà giovevole alla Chiesa e a tutta la cristianità. Finchè invece i vari “correttori filiali” continueranno a riconoscere la legittimità di Paolo VI e dei suoi successori, attribuendosi così la missione di “correggere” a piacimento quello che per loro sono il Papa, il magistero, la liturgia o la disciplina della Chiesa, contribuiranno solamente ad aumentare la confusione in cui viviamo e la gravità della situazione. Che la Madonna del Buon Consiglio li illumini, che Cristo Re ci salvi e regni.

*tratto da http://www.sodalitium.biz/contatti/

 

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