Pensiero stupendo … nasce un poco strisciando. Si potrebbe trattare …

Se è vero che ai partiti minoritari non resta che prendere atto di quello che è avvenuto pochi giorni fa in  parlamento  con il tentativo di  «un Super Porcellum frutto di un accordo tra Matteo Renzi, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi» poi saltato, a Giorgia Meloni invece non resta che prendere atto della crudele legge dei numeri, a fronte dei quali ognuno tenta di salvare se stesso a discapito del più debole. Fratelli d’Italia lo è sotto più punti di vista.

Le principali lacune che appaiono incolmabili riguardano il divario fra una leader in costante crescita ed una classe dirigente periferica scarsamente legata al territorio. Inoltre la posizione marcatamente collocata sul versante della “destra” tradizionale che al massimo può dialogare con una parte minoritaria del centro e qualche realtà populista è un ulteriore limite. In casa Fratelli d’ Italia non ci si aspettava che il dibattito sulla legge elettorale prendesse quella piega, con un ritorno al proporzionale da Prima Repubblica (per noi mai tramontata) lo spavento è stato forte e da un iniziale momento di rabbia, in molti si sono attivati a cominciare da Ignazio La Russa, uno dei vecchi colonnelli che al pari di Maurizio Gasparri ed Altero Matteoli, dal parlamento proprio non voglio uscire con le proprie gambe.  La Russa ha iniziato ad intessere una serie di rapporti stanco della banda di ragazzini che molto spesso costituiscono il “cerchio magico” di Giorgia Meloni, che mal la consigliano e devono inserire il Tom Tom una volta usciti dal raccordo anulare politico di Roma.

Dal partito nato dalle ceneri di Alleanza nazionale quindi Fabio Rampelli ed Ignazio La Russa sono al lavoro per definire una strategia che non va tanto per il sottile. Ci sono due diverse ipotesi sul campo. La prima è mettere in piedi una Lista Sovranista insieme alla Lega Nord. Era stata proprio la Meloni a proporre un listone unitario del centrodestra in vista delle Amministrative, ipotesi al 18%. La seconda vede Fratelli d’ Italia, che andrà al congresso dopo l’ estate “aggregatore” di un’ area di centrodestra che si prefigge di «dare una casa a tutti coloro che non vogliono morire “renziani”. Oggi, rispetto a dodici mesi fa, potrebbero aderire anche il partito di Raffaele Fitto, che si chiama Direzione Italia ed è completamente isolato, in caduta libera e Noi Repubblicani di Daniela Santanchè e Luca Squeri.

Fitto ha partecipato a molti comizi con la Meloni, ed è di oggi una notizia Ansa che parteciperà al prossimo incontro pubblico del partito di Giorgia. Fitto ha perso Lecce, Tricase, Galatina e Galatone, la roccaforte è stata espugnata e non ha più nulla in mano. Perdendo a casa sua, non puo garantire nulla in altri territori. Lo sanno anche i deputati rimasti al suo fianco e che aspettano la fine dell’estate per decidere il momento di emigrare altrove.

Giorgia Meloni ha visto i risultati della Puglia, una catastrofe totale, eccezion fatta per Terlizzi. La provincia di Bari continua a dare certezze. Stazionarie Bat, Foggia Brindisi e Taranto. Lecce è una catastrofe totale, dopo aver incasellato sconfitte su sconfitte, dalle Europee alle recenti amministrative si è persa anche la roccaforte di Lecce Città.

A Roma si sono convinti che sarebbe inutile anche lo scossone del commissariamento. Saranno i Congressi provinciali a risolvere “diplomaticamente” le questioni e derimere  aspetti per i romani molto marginali. A loro non sono mai interessate le periferie degli imperi, figuriamoci quelle delle truppe della sopravvivenza.

Dalle ultime elezioni amministrative, Fratelli d’Italia incassa solo il “valore aggiunto” sia nella composizione della lista di Lecce Città che nel numero degli eletti rigorosamente all’opposizione e qualche blanda adesione “congediana”. Per il resto il partito è raso al suolo, lo dicono i numeri. Anche da qui l’idea nemmeno originale di “chiudere” un trittico della disperazione, dove le garanzie sarebbero basate su tre regioni: Liguria con Giovanni Toti, Lazio con Giorgia Meloni e Puglia con Raffaele Fitto.

È stato molto chiaro Fabio Rampelli nell’assemblea provinciale di Lecce del 31 luglio u.s. di fronte ad uno sparuto gruppo di elettori e simpatizzanti e nel vuoto di classe dirigente. Il partito cerca alleati e risultati.  Tradotto dal gergo politico significa: gli accordi sono quasi chiusi e li dobbiamo  fare noi, non Ignazio La Russa che nelle scorse politiche fu eletto in Puglia a discapito di Marcello Gemmato ma che dalla Puglia non è mai passato nemmeno per sbaglio. Questa volta tocca a Marcello, che certamente non sarebbe eletto in Lombardia. Poco importa se bisogna “sacrificare” Lecce ed il Salento. Eccezione fatta per il Sen. Saccomanno, del resto, la dimensione e lo spessore politico della classe dirigente salentina, al netto dei nuovi arrivi, per la prima volta nella storia della Destra post fascista non riesce ad esprimere nemmeno l’elezione di un suo uomo in un Consiglio Comunale.

Direzione Chiara dunque. La politica è mero sventolio di principi, nella sostanza non si prescinde dai numeri, i fatti dimostrano che i numeri non li ha Lecce,  paradossalmente sono errate anche le indicazioni fornite da Marcello Taglialatela durante l’assemblea regionale a Bari prima del voto. Forse non conviene tanto fare la “guerra” a Raffaele Fitto. Forse conviene allearsi.

Contrordine compagni! Ops… camerati! Tutti alla Corte di Maglie.

Tutti o quasi tutti. C’è chi non si “allinea”.

Nella incertezza dei vertici e la nullità politica sul territorio, c’è chi preferisce continuare come sempre ha fatto, ossia per la propria strada al fianco della propria gente senza guardare solo ai numeri, ma  soprattutto alla coerenza politica, alla rettitudine personale ed alla dignità morale.

Senza queste caratteristiche si possono anche vincere le elezioni, si può anche vivacchiare di politica, ma non si costruiscono progetti politici credibili e non si risolvono i problemi del popolo, che lo ricordiamo, è allo stremo.

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