La Destra dovrebbe ripartire dal 1992, facendo tesoro degli errori successivi.

Di Giovanni De Luca.

“Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste – Vorrei starci un mese laggiù! Noi vi ritornammo, e vi passammo non un mese, ma quarantott’ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d’anni. La mattina del terzo giorno, stanca di vedere eternamente del verde e dell’azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione, e gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai.”

Con questo incipit Giovanni Verga dà avvio a “Fantasticheria”. La novella verghiana ho sempre creduto fosse il principio e la fine della “nostra” intera esistenza politica dal 1992 ad oggi. Verga scrive nel preludio di una corrente di pensiero che avrebbe poi assunto la denominazione di “verismo”, dell’ideale dell’ostrica e sosteneva che la povera gente: i contadini, gli opera, i pescatori, gli uomini e le donne del popolo insomma, finché vivono protetti dall’ambiente che li ha visti nascere, crescere, nel pieno rispetto dei valori “umili”, quell’insieme di conoscenze, di sapienze, di codici di un mondo quotidiano, una sorta di ritmo ancestrale tramandato di “Padre in figlio”, vivono in armonia e nel giusto, quando invece cominciano a provare il desiderio del cambiamento, il desiderio di migliorare, di progredire, di raggiungere mete ambite ma che in tutta evidenza sono loro precluse per natura, in quel momento è l’inizio della fine.

Così, come l’ostrica che vive sicura finché resta avvinghiata allo scoglio dov’è nata, così l’uomo di Verga vive sicuro finché non comincia ad avere smanie di miglioramento. Così, come la Destra politica, ha vissuto sicura finché è rimasta avvinghiata al suo popolo ed alla sua gente dov’è nata, così la nostra comunità politica guidata per quasi cinquat’anni da Giorgio Almirante ha vissuto sicura, finché, defunto il suo leader, non ha cominciato ad avere smanie di miglioramento, di svolta che sapevano e sanno di abiura, di rinuncia, di abbandono del proprio status politico per assurgere ad un compito che come nei “malavoglia” è stato il preludio di tutte le sciagure.

Molti pomeriggi come questo, sul far della sera, quando il sole bacia le terre arse del Sud, con la sua pressante ed opprimente calura in un esplosione di colori malinconici, ho riflettuto sul destino politico che ha riguardato molto di noi rimasti legati ai valori “umili” e senza una casa, senza la famiglia d’origine.  Tutti una sorta di personaggi  di “rosso malpelo”, rassegnati all’idea che la vita è dura, ma temprati da quel lontano giorno a tal punto da non piangere al funerale della nostra parte politica, convinti che far cio’ non avrebbe migliorato la situazione. In effetti cosi fu’.Ho riflettuto sulle speranze che sono ancora, nel cuore e nelle menti di tanti di noi.

Allo scoppio di tangentopoli, il Msi condusse una battaglia. Una battaglia propria del suo status politico e sociale contro il pentapartito nato dall’accordo, mafioso e documentato, fra i ladri del regime. Una alternativa ed una presa di posizione senza tentennamenti che lo portò a dichiarare, apertamente, appoggio ai giudici di “mani pulite” presentandosi con lo slogan “ogni voto una picconata” alla campagna elettorale del 1992. Il pomeriggio del 19 maggio, – tragica coincidenza dei numeri – nel corso dell’XI scrutinio dell’elezione del Presidente della Repubblica Italiana dello stesso anno, il MSI ed i suoi parlamentari, votarono per Paolo Borsellino che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze.

Oggi, nel 25esimo anniversario della strage di via D’Amelio, sono tante le riflessioni su quello che sarebbe potuto essere e quello che poi non è stato. Ho riflettuto e rifletto, trovandomi fra le mani uno scritto di Giampiero Cannella dal titolo: “19 luglio per non dimenticare la lotta alla mafia della Destra” dove fra le ultime righe leggo: “nella lunga storia del confronto duro tra gli uomini della destra siciliana e la mafia, si inserisce in un’altra veste, ma a pieno titolo Paolo Borsellino, uomo dello Stato, con alle spalle una attiva militanza nel Fuan di Palermo e da sempre simpatizzante del Msi. Fin dai tempi dell’università alla fine degli anni ‘50, il magistrato ucciso insieme alla sua scorta in via D’Amelio si distinse per l’impegno politico insieme ai futuri esponenti del Msi siciliano, Guido Lo Porto, Enzo Fragalà e Pippo Tricoli. Nel 1959 Borsellino venne eletto rappresentante studentesco della lista “Fuan-Fanalino”. Poi la laurea e l’impegno professionale. A differenza di tanti suoi colleghi, l’ingresso di Paolo Borsellino in magistratura segnò la cesura netta con l’attività politica, pur mantenendo intatte le sue idee, le sue amicizie e la sua visione del mondo, il magistrato interpretò il ruolo di servitore dello Stato in modo anodino, come soltanto un uomo con l’innato senso della lealtà alle istituzione può fare. Colonna portante del pool antimafia costituito dopo l’uccisione del giudice Rocco Chinnici, nel 1985 Borsellino fu insieme a Giovanni Falcone l’anima del maxi-processo a carico di 476 indagati per reati di mafia. Successivamente fu nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. Nel 1992, con il trasferimento di Giovanni Falcone alla Direzione Affari Penali, Borsellino tornò a Palermo con il ruolo di procuratore aggiunto. Ma Cosa Nostra aveva ormai emesso la sua sentenza di condanna a morte per i due magistrati. Capaci e via D’Amelio resteranno per sempre nella memoria dei siciliani come i luoghi nei quali si concentrò la bestiale furia omicida dei killer mafiosi. Dell’impegno culturale tra i giovani per la diffusione di una sana coscienza antimafia, invece, resta traccia nella presenza di Paolo Borsellino, nel 1990, alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa insieme all’amico e parlamentare regionale del Msi Pippo Tricoli e agli allora dirigenti giovanili Gianni Alemanno e Fabio Granata”.

Anche questa è stata la nostra storia e credo fermamente (malgrado nutra poche speranze che la nostra comunità politica possa deporre le armi giocattolo della diatriba sterile ed improduttiva) che noi dovremmo rispondere al richiamo di un senso di responsabilità ricominciando dal 19 maggio 1992, dopo quel voto la campana di vetro che sembrava indistruttibile ed impenetrabile si distrusse. Quella campana era lo scudo naturale dei principi morali dell’onesta, del coraggio, della lotta contro il malaffare, contro le ingiustizie, contro la corruzione e proprio da lì, dovremmo ripartire. Senza troppi giri di parole, anzi voglio proprio essere chiaro ed incisivo.

Probabilmente Paolo Borsellino, non sarebbe diventato Presidente della Repubblica nata nel 1945 né allora né mai. Non lo sarebbe diventato nemmeno con i numeri dei deputati dell’Alleanza Nazionale dei tempi migliori e non avrebbe mai avuto la convergenza dei voti di Forza Italia per i motivi che ogni libera coscienza può ben immaginare. Probabilmente, qualora nel 1992 lo fosse diventato, in Via D’ Amelio il tritolo avrebbe fatto saltare ugualmente in aria il Presidente della Repubblica italiana. O forse no. La storia è scritta con le sue crudeltà e con le certezze delle quali Paolo Borsellino era portatore: “mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Restano le spinte morali, le convinzioni, la ribellione all’abiura, la rabbia delle tante sconfitte, il senso di vuoto per la dipartita degli uomini migliori, ma restano le speranze, che camminano di pari passo alle sofferenze del popolo italiano. Nel settembre del 1990 Paolo Borsellino intervenne alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa, insieme al parlamentare regionale del MSI Giuseppe Tricoli, lascio traccia del suo passaggio dicendo: “Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono: ecco, in quel caso non sarò morto invano.

Da questa storia dovremmo ripartire e lo dirò al Congresso Regionale pugliese di Gioventù Nazionale, dove sono stato invitato ad intervenire da Giuseppe Maggiore e dove lascerò traccia di una fervida testimonianza ed una sola convinzione: “Meglio un giorno da Borsellino che 100 anni da Ciancimino”. Sì, da qui bisogna ripartire.

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Un commento su “La Destra dovrebbe ripartire dal 1992, facendo tesoro degli errori successivi.

  1. Antonella Mastropaolo il said:

    Che dire..condivido
    La famiglia Borsellino è stata lasciata sola, come sole sono le (tante) persone perbene che vivono ed operano quotidianamente nel nostro Paese. Indietro non si può tornare, ma è nostro dovere andare avanti, facendo tesoro della storia passata.

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