Il G7 sul lavoro a Torino, la capitale di quell’ industria che i lavoratori li ha traditi

  • Editoriale di Giovanni De Luca 

E’ in fase di svolgimento a Torino la conferenza del G7, la “Innovation Week italian” che consiste in una sei giorni per parlare di industria, scienza e lavoro.

Una sorta di anno zero per il Ministro Carlo Calenza:  «Ripartiremo dalle linee guida della presidenza giapponese. Ci sono Paesi che vogliono una regolamentazione molto lasca e altri, come l’Europa e il Giappone, che chiedono invece un quadro molto preciso, all’interno del quale sviluppare per esempio l’intelligenza artificiale».

 Al centro della discussione gli standard dell’era digitale, questione dirimente per decidere quale dei sistemi oggi allo studio sarà scelto e verrà esteso a tutte le principali economie e quali invece saranno scartati ed a seguire il lavoro, con tutte le sfide che il progresso impone.

Nessun fuori programma è previsto per i ministri di Giappone, Usa, Canada, Germania, Regno Unito e Francia, che resteranno chiusi tra gli stucchi della Reggia e nessuna novità sul fronte dell’approccio ai temi del lavoro mentre è in atto, proprio nel Sud dell’Europa e Torino ne è viva testimonianza, una delle più latenti crisi che dal tramonto del secolo scorso ancora perdura, a sancire la definitiva parabola di una curva in discesa per le politiche liberalcapitalistiche, con la riproposizione di inadeguate linee guida e vecchie desuete ricette inconsistenti a fronte dei drammi in atto, dalla disoccupazione galoppante, alla perdita del potere d’acquisto, alla svalutazione dei salari, mentre importiamo immigrazione indotta proprio per squalificare il lavoro.

Ne parlano a Torino. Proprio coloro i quali il mondo del lavoro non lo conoscono, non ne conoscono le dinamiche dal quale esso scaturisce, ma ne parlano nella capitale industriale che i lavoratori li ha traditi a seguito di politiche sbagliate in malafede con decenni di investimenti dello Stato e dei Governi, sull’industria automobilistica che ha incassato gli utili e ridistribuire le perdite, con la benedizione di un sindacalismo venduto al “padrone”, in mala fede, superato e che poi ha accettato le delocalizzazioni industriali senza una minima reazione.

Per parlare di lavoro, nessun programma ben definito.  Nessuno, a parte noi, che faccia una  sintesi moderna contenuta nell’alternativa trasversale e nazional popolare come le nostre tesi. Nessuno che dica, oltre noi, che  oggi che la disoccupazione sta diventando una tragedia. Una volta, si era disoccupati per due – tre anni ma poi si trovava lavoro, specialmente per le genti del Sud Italia – dove un terzo della popolazione era disoccupata ma poi si trovava.

Oggi Non è più così. Per la prima volta nella storia dell’umanità il progresso tecnico e scientifico, non crea occupazione; fa aumentare la disoccupazione, provoca impoverimento anche nelle aree in tempo più sviluppate e che erano considerate locomotiva e traino per tutto il resto.

“Il capitale corre dove la mano d’opera costa meno e più alto è il guadagno”.

Un operaio calzaturiero cinese costa venti volte meno di un calzaturiero italiano o europeo. I bambini della Colombia, lavorano per un dollaro al giorno dodici ore al giorno nella migliore delle iptesi, senza alcun “onere” sociale. Producono tappeti e scavano carbone. E dovunque, nel terzo e ancor più nel poverissimo quarto mondo, centinaia di milioni di bambini, adolescenti e donne, lavorano in condizioni spaventose, alimentando profitti senza precedenti a beneficio di una ristretta minoranza che opera sia direttamente, sia attraverso le Multinazionali, 200 delle quali controllano il 30% dei profitti ed il 25% del Prodotto Nazionale Lordo dell’intera umanità.

Siamo di fronte a politiche di “nuovo schiavismo” e la sinistra residua e la destra conservatrice, restano a guardare i lavori di coloro i quali sono riuniti a Torino – e fra gli Stati responsabili del tracollo economico e sociale ancora parlano mentre il decadimento avviene sotto i nostri occhi, quotidianamente, anche nella nostra nazione.

A Prato, un tempo vanto e fiore all’occhiello del Made in Italy  sotto lo sguardo quasi impotente di uno Stato come quello italiano che dovrebbe essere la culla della civiltà del diritto e dei diritti, decine e decine di lavoratori svolgono turni di lavoro insostenibili, nella zona industriale on capannoni anche dormitorio.

Che fare? La ricetta è la nostra!

Affonda le radici nella dottrina sociale della Chiesa , che un tempo era la nostra tanto auspicata “Terza Via”.

Per combattere la disoccupazione noi proponiamo un nuovo patto sociale.

Dalla riforestazione (perché dobbiamo continuare ad importare legname per migliaia di miliardi ogni anno?) sino alla sistemazione idro-geologica del territorio. Il dissesto in atto, ci costa fra miliardi di euro ogni anno e, spesso decine e centinaia di morti. Per riprendere il controllo ecologico del territorio, mentre l’Italia è sommersa da una marea di rifiuti, se ne producono 100 milioni di rifiuti l’anno e solo il 35% finisce nelle discariche.

Impegno sul versante civile specialmente nelle periferie del paese, “giovani volontari civili” a disposizione delle Forze dell’Ordine per la presenza capillare e costante nei quartieri a rischio, con l’acquisizione di un titolo preferenziale per i successivi concorsi nella P.S., Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Polizia Regionale (che accorpi le funzioni della Polizia Provinciale e Locale).

Lavoro nuovo dove il disagio sociale aumenta, ma le risposte ancora una volta non verranno d nessun G7. Al margine i soliti scontri degli antagonisti, servi del sistema a consolidare l’idea che oltre alle tematiche dei grandi della terra, non c’è una proposta politica alternativa, mentre i nostri  organizzano feste, convegni, forgiano slogan ma non hanno ne’ le idee chiare, ne’ voglia di uscire dalla Destra della carta patinata, dalle clip di Facebook, dagli slogan identitari che non si fila più nessuno.

 

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