La prima: il referendum è una scelta politica, non una necessità imposta dalla complessa procedura prevista dall’articolo 116 della Costituzione. Averlo indetto è funzionale solo alle dinamiche interne alla Lega Nord, al legittimo desiderio di protagonismo politico nazionale di Maroni e Zaia e alle comprensibili esigenze di mobilitazione e di propaganda di un partito a fine legislatura. Tutto legittimo. Come lo è, però, lo smarcamento della Meloni, leader di un altro partito che, per quanto più piccolo, ha storia e vocazione nazionali. E autonomia politica.
La seconda: quanto accaduto domenica scorsa in Catalogna è un monito. Le dinamiche sottese alle richieste di autonomia di governo si sa dove cominciano ma non dove finiscono. Le cariche della Guardia Civil, le teste spaccate ai manifestanti e le urne sequestrate sono atti di brutalità inusitati per una democrazia europea, ma nel contempo rappresentano anche la spia di pregressi cedimenti. Per molti leghisti, invece, «fare come a Barcellona» costituisce un traguardo irrinunciabile. E il referendum del 22 ottobre solo una tappa intermedia. Al contrario, il “no” della Meloni segnala che la consultazione indetta da Lombardia e Veneto può diventare un terreno scivoloso per l’unità e la solidarietà nazionale poiché rischia di aumentare le diseguaglianze tra italiani. E non rendendo più ricco il Nord, ma solo facendo diventare più povero il Sud.
La terza: tanto la Meloni quanto Matteo Salvini sono convinti che l’integrità dello Stato nazionale sia compatibile con autonomia e decentramento. Il leader leghista se ne è convinto a tal punto da coltivare sogni di gloria elettorale anche nelle contrade meridionali, solo fino a poco tempo fa destinatarie di ben altre attenzioni da parte sua e dei suoi compagni di partito. Una scelta da vero leader politico. Anche per questo, se fossimo nei suoi panni non scacceremmo come una zanzara fastidiosa l’idea che il referendum dei suoi governatori finisca in fondo per fare più male che bene alla sua strategia. Del tutto scontato, quindi, che sul punto la Meloni lo sottoponga a stress-test. La leader di FdI agisce in questo caso da garante degli interessi del Mezzogiorno, seppur all’interno della consueta e irrinunciabile cornice nazionale. La sua è una posizione obbligata. Non lo facesse, rischierebbe la consunzione politica per contiguità con la Lega. Averlo compreso è segno di maturità. Aver agito, sfidando incomprensioni e conseguenze, è prova di coraggio.
Bravo Landolfi e brava Giogia Meloni. Concordiamo e ci siamo. GIORGIA ha dimostrato sicurezza, spessore politico, stoffa da leader. Idee chiare.
Ed allora proviamo a fornire spunti di riflessione e contenuti per rafforzare la nostra proposta, per un‘Italia Presidenziale e con una radicale forza riformatrice della quale solo noi siamo gli unici protagonisti indiscussi. Immaginando uno Stato federale basato sulla proposta di riordino territoriale avanzata dall’Associazione Geografica Italiana e con una forte autonomia fiscale, distributista e quindi solidale fra le nuove entità che noi amiamo definire: di prossimità. Siamo per i governi dei territori, contro gli sprechi delle attuali regioni e più vicini ai cittadini.
A fare da garante sull’Unita Nazionale, il Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini come Giorgio Almirante aveva immaginato, sognato, scagliandosi in un memorabile intervento fiume in parlamento, contro la nascita delle regioni.
La proposta dell’Associazione Geografica Italiana e di Prospettive Future.
L’idea consiste nel suddividere l’Italia in 36 nuove regioni che sostituiscono le attuali province e gli attuali confini regionali, per diventare i centri propulsori della gestione amministrativa e dello sviluppo in un rinnovato “patto di cittadinanza”.
Questo nodo centrale nel dibattito politico nazionale, che ha quindi già degli interlocutori validi, è nelle linee politiche di Fratelli d’Italia, primo partito nazionale a condividerne i contenuti strategici e quindi, valida proposta da portare in seno alla auspicata “costituente”, unico luogo deputato a riscriveretutti insieme l’e regole ed i confini dell’architettura della “Nuova Repubblica”.
La Repubblica Presidenziale di tutti gli italiani.
È a questo punto che si inseriscono le tesi di Prospettive Future che trovano forza, se è vero come del resto lo è, in quanto da noi affermato in un precedente articolo.
Europa Nazione.
Se all’Europa economica va conferita una prospettiva che deve essere anche un fine ed un sentire “comune” che permea l’umanità nella ininterrotta continuità storica con le radici greco-romane e cristiane, un modello propulsivo e creativo di sviluppo sostenibile capace, quindi, di coniugare memoria storica e specificità locali con la modernità, giustizia sociale e progresso, devo andare dal collaudato e vincente modello nord-europeo arrivato ai suoi limiti di sviluppo, a nuovi modelli che guardano benevolmente al Sud del vecchio continente.
L’Italia, la Patria.
La “crisi” dello Stato nazionale rappresentando la perdita di un universo monocentrico in una nuova prospettiva “policentrica”, sfocia nella valorizzazione delle entità politiche sub-nazionali. La risposta alla globalizzazione può nascere nelle istanze di federalismo da più parti avanzate e nell’esigenza dell’adozione di una politica di “piccoli Stati” e “micro-Patrie” federate.
Il riscatto del Sud
Come già scritto, in questo quadro si inserisce anche il dibattito sull’architettura dello Stato Nazionale d’Europa. Noi guardiamo a questo processo politico dalla nostra prospettiva: Sud. La grande industria, la trasformazione delle campagne, il sostegno pubblico, avrebbero – nella visione ottimistica e lineare del dopoguerra – dovuto portare ad un saldo del divario dal nord. In questa classica concezione “progressista-fordista” l’anello debole era rappresentato dai meridionali che si sarebbero “dovuti educare” alla civiltà industriale. La storia dimostra come la continua quanto vana rincorsa di standard europei non applicabili, o “non ripetibili”, per usi, costumi o per le condizioni climatiche ed i modelli da “asportare” sono falliti.
La nostra società si basa su una forma di vita “lenta”, capace di contenere dentro la propria misura, un modello di sviluppo dimensionale che non deve essere ridotto ad uno stadio di inferiorità, o messo in competizione con diversi territori perché quando si pensa che la storia dell’umanità può essere ricostruita sull’unico ingrediente evolutivo della tecnica, si è già persa qualsiasi autonomia di pensiero. Quando le dinamiche dello sviluppo di altre culture diverse da quelle votate alla tecnica ed all’industria, vengono ridotte a quell’unica parola che è “arretratezza” – associata sempre a oppressione e superstizione – il copione è stato già scritto. Per il Sud, quindi, vivere di identità, di peculiarità e di tradizioni locali, è la nuova sfida per dimostrare che dal più piccolo e “glocal”, si possono governare meccanismi di sviluppo che si autodeterminano, e producono ricchezza.
Ecco l’Europa dei popoli.
Nasce l’esigenza di riconsiderare sotto il profilo costituzionale, il riconoscimento di entità regionali che offrono molti vantaggi rispetto a quelle realtà macroscopiche che sono gli Stati nazionali e che non necessariamente, come apparentemente potrebbe sembrare, spingono nella direzione della frammentazione e della polverizzazione dell’unità europea o dell’unità nazionale. Quanto più l’Europa si unifica, tanto più necessita del contrappeso di formazione di “piccole”, quanto più la “Patria” viene ricercata in unità di dimensioni ridotte, tanto più l’Europa diventa la “casa comune con molte stanze”, quindi uno Stato Nazionale federato.
Le Unioni dei Comuni e la fusione dei servizi nel quadro della autonomia finanziaria.
Le nuove 36 entità territoriali saranno il più possibile autosufficienti potendo beneficiare al proprio interno dell’esercizio del maggior numero possibile di funzioni. Ne deriverebbe, dunque, un risparmio di gestione e una semplificazione del quadro dell’erogazione di servizi. Nei nuovi confini saranno accorpate le funzioni dei consorzi, degli ambiti, delle partecipate.
Allo Stato, la cui riforma è ormai improcrastinabile, saranno affidati compiti di indirizzo politico sulle nuove province per una difesa dell’Identità nazionale , di governo sulle forze armate e di pubblica sicurezza, di facilitatore e controllo fra l’Unione Europea ed i territori.
Il Senato sarà rappresentato dai deputati eletti nelle elezioni politiche e la Camera sarà rappresentata dai delegati regionali, dai componenti del Cnel e dalle rappresentanze delle categorie sociali, culturali e produttive della Nazione.
E’ con noi, la vera alternativa al sistema paritocratico, contro ogni corruzione morale e materiale, unica vera forza riformista ispirata ai volari cristiani, sociali, nazionali, popolari e rivoluzionari.